Sopravvivere alla crisi globale: il modello dell’oasi

L’attuale crisi economica non è una semplice crisi finanziaria è il sintomo della insostenibilità di un modello basato sullo spreco e il depauperamento delle risorse. Modello che ha portato all’esaurimento e al collasso degli ecosistemi del pianeta. In questa crisi globale i fenomeni di estremizzazione climatica in atto dovuti al riscaldamento climatico  innescano catastrofi e aumentano i fattori di rischio. Ma i cambiamenti climatici e il collasso delle civiltà non sono fenomeni nuovi nella storia. I popoli hanno sempre dovuto fronteggiare l’imprevedibilità e dell’ambiente e la variabilità del clima e la risposta a questi problemi ha determinato il successo o la fine delle società. Le condizioni ambientali hanno forgiato nel tempo conoscenze adatte localmente capaci di rispondere alle avversità con tecniche appropriate di captazione e di distribuzione idrica, di protezione dei suoli, di riciclo e di usi ottimali dell’energia. Queste tecniche costituiscono un serbatoio straordinario conoscenze sostenibili. Tuttavia è la prima volta nella storia del pianeta che il cambiamento climatico avviene a causa dell’intervento umano ed è accompagnato da due fattori che rendono difficile una risposta. Il primo fattore è il tempo. La rapidità dei processi innescati impedisce l’adattamento graduale naturale e culturale che permetteva l’adeguamento progressivo alle nuove condizioni. Il secondo fattore è lo stato di degrado delle condizioni fisiche e sociali. I suoli sono stremati dalla agricoltura industriale e dalla urbanizzazione massiccia. Le culture sono svuotate dalla emigrazione, la povertà e la perdita di identità.

L’agricoltura industriale ha prodotto grandi superfici destinate alla monocoltura e sostenute da irrigazione e fertilizzazione artificiale, diserbanti e pesticidi. Ha così distrutto quel paesaggio a mosaico fatto di terrazzamenti, muri a secco, varietà coltivate, filari di alberi, drenaggi che garantiva la protezione dei suoli e la conservazione dell’acqua. L’urbanizzazione ha svuotato le aree montane eliminando i presidi umani all’erosione e determinato vaste superfici cementificate sulle coste e le pianure ostacolo all’assorbimento dell’acqua nelle falde. Le estremizzazioni climatiche hanno così un effetto devastante innescando la desertificazione fisica e culturale. Il dramma riguarda tutti i paesi del mondo sia le arie aride che quelle temperate. Tuttavia proprio dove le risorse sono rare e l’acqua non c’è l’umanità a imparato a gestirla sapientemente come nelle oasi del deserto. Le oasi non sono fenomeni naturali, frutto del caso, ma il prodotto dell’ingegno umano. Le palme, le costruzioni di terra cruda, i sistemi idraulici, le stesse grandi dune di sabbia sono realizzate e appropriatamente utilizzate dagli abitanti per mantenere un ambiente vivibile in una situazione tra le più inclementi del pianeta. Ogni singola palma è piantata e curata, è fertilizzata con i rifiuti organici, è irrigata con acque gelosamente amministrate, a volte captate da imponenti gallerie che raccolgono ogni goccia di umidità dalle sabbie. Così si forma l’ombra e si condensa il vapore e, al riparo dal sole e dal vento, si moltiplicano i microrganismi e gli altri elementi biologici che compongono il terreno fertile, l’humus. Si crea un’interazione virtuosa di fattori in grado di innescare dinamiche positive in contrasto con la situazione dura e ostile. Si determina un microcosmo in cui la vita e il pensiero sono collegati ai luoghi, agli altri esseri viventi e a ogni cosa. Un sistema strettamente connesso affidato completamente alla cura degli abitanti. La condizione delle oasi, dove ogni errore si ripercuote immediatamente sulla sopravvivenza di tutto l’ecosistema, costituisce un insegnamento per il nostro paesaggio e per i nostri centri storici che sono oasi di pietra realizzati in armonia con le condizioni ambientali. Per proteggerli è necessario rispettare i modi e le tecniche appropriate ai luoghi trasmesse nel tempo attraverso l’identità delle comunità sviluppare la consapevolezza che solo una gestione comune e responsabile può garantire la sopravvivenza dell’oasi nel cosmo che si chiama Terra.

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Lalibela, Etiopia, UNESCO, 2009